È un formaggio a pasta filata appena uscita dal casaro che sapientemente la fila dopo la rottura e la maturazione della cagliata.
La prima volta che ho messo piede a Caserta sono rimasto strabiliato dalla bellezza delle donne, dai profumi e dall’atmosfera dalla quale ero circondato.
Andavo in cerca della famosa Mozzarella di Bufala Campana e l’ho trovata in uno dei tanti caseifici della zona, io che ero abituato a mangiare quella giallognola (di mucca) o quella che, percorrendo tutta la penisola, arrivava “lassù sulle montagne fra boschi e vallidor” a Bergamo nei nostri paesini di montagna, come recita la famosa canzone del coro Idica fondato dal maestro Kurt Dubiensky a Clusone nel 1957 circondato da puri appassionati della montagna spesso alpini instancabili dalle scarpe grosse cervello fino.
È un formaggio a pasta filata appena uscita dal casaro che sapientemente la fila dopo la rottura e la maturazione della cagliata.
Il termine “Mozzarella” deriva dal verbo “mozzare”, un’operazione praticata ancora oggi in tutti i caseifici, che consiste nel forgiare con le mani il pezzo di cagliata filata, staccando con gli indici ed i pollici le singole mozzarelle.
Qui a Sorrento potrò godermela in tutta la sua freschezza, colore bianco porcellana, soda, dal profumo fragrante e delicato di latte lievemente acidulo, il sapore sapido e fresco. Ricordo ancora con simpatia le colazioni a base di mozzarella di bufala accompagnata dal prosciutto crudo consumate in riva al mare al sorgere del sole.
Non è da acquistare sfusa, non si mangia sotto i venti gradi e soprattutto non va condita, questo per non perdersi la bontà unica di questo prodotto straordinario e unico e, per ultimo, deve essere DOP per avere la garanzia della provenienza.
Io la prediligo con pomodorini freschi, basilico dell’orto e un filo di olio extravergine.
©2020 Luca Scainelli